Quante volte ci hanno detto per incoraggiarci: “Non preoccuparti, si chiude una porta e si apre un portone”.
Per molti di noi italiani all’estero il 2020 è stato uno strappo violento.
Ce l’ha raccontato Monica nel suo post la pagina strappata.
Siamo stati catapultati in situazioni estreme, difficili, sbattuti fuori di casa o impossibilitati a muoversi per raggiungere i nostri cari.
Per non parlare di chi ha perso il lavoro o di chi si è ammalato e si è sentito spaurito, senza un’adeguata assistenza.
Per molti tutto ciò è diventata l’occasione per riconsiderare la propria vita, e per prendere decisioni in merito.
Io sono una di quelle.
Quando il 24 febbraio il Kuwait ha chiuso i confini a chi arrivava dall’Italia, paese in cui mi ero recata per fare le tanto agognate vacanze invernali, è stato uno shock.
Noi eravamo arrivati soltanto il 22 sera, il giorno dopo avevamo capito che la situazione stava degenerando e abbiamo rifatto le valige, ma non è bastato.
Arrivati in aeroporto abbiamo avuto la bella sorpresa del ban del Kuwait per tutti i residenti che arrivavano dall’Italia.
L’unica speranza per rientrare era trascorrere 14 giorni in un paese non bannato .
Ho scelto di venire a Dubai perché è vicina, ma soprattutto perché ho Elena qui.
Ho detto a mio marito se ci fosse successo qualcosa almeno avremmo potuto contare su qualcuno.
Non posso descrivervi l’angoscia di quei giorni, gli occhi sbarrati la notte.
Lo stomaco chiuso.
Ritrovarsi con le tute da sci a Dubai è stato surreale.
Ricordo che i piedi mi bollivano dentro le mie timberland con la pelliccia.
Elena non solo mi ha accolto la prima notte, ma ha prestato tutto sia a me che a mia figlia.
Ha dovuto prestarmi persino le mutande, perché nella corsa verso l’aeroporto di Venezia, abbiamo lasciato la mia biancheria intima in un cassetto.
Sentivo che quei 14 giorni non sarebbero bastati per convincere Kuwait a farci tornare, e così è stato.
Alla fine ci ha chiuso del tutto la porta in faccia di casa nostra.
Avevo scritto anche un post in quei giorni.
Ma è stato un bene non pubblicarlo.
Ero troppo arrabbiata, incredula, spaventata che nessuno potesse aiutarmi.
Chi mi segue su mamme nel deserto ha toccato con mano la mia disperazione.
Mi sentivo vittima di una decisione troppo ingiusta.
Io volevo tornare a casa mia ed ero disposta a fare tutto, test e quarantena.
Inoltre avevano chiuso i confini all’Italia anche se i numeri allora erano piccoli, anche se io mi ero fermata solo 24 ore.
Ma nessuno ha potuto aiutarci.
Mi sono sentita abbandonata.
Abbiamo scelto di restare a Dubai perché da subito ci è sembrato che tenessero sotto controllo la situazione e perché speravamo che il Kuwait avrebbe riaperto prima a Dubai.
In realtà siamo stati qui sei mesi. Sospesi. Prima che il Kuwait riaprisse i confini.
Certo con regole severe e con l’Italia ancora bannata.
Anche se la situazione sanitaria era molto più grave in Kuwait che in Italia.
Sono stati sei lunghissimi e faticosi mesi.
Ci sono state giornate buone e giornate cattive.
Tante notti insonni.
Continuavo a pensare solo una cosa.
Tutto questo non ci stava accadendo per caso. Tutto doveva avere un senso.
Soprattutto, abbiamo pensato che dovevamo trasformare tutto in una opportunità.
Ritrovarsi ad affrontare una pandemia in una casa non tua, con tre vestiti e nessun gioco per tua figlia non è stato semplice.
Abbiamo cercato di darci un minimo di obiettivi, di non farci travolgere.
Sono iniziati gli allenamenti sul balcone, il rito di guardare friends, la scuola a distanza.
La preghiera tutti i giorni di mia figlia dopo i pasti era: “Grazie Gesù che ci fai stare bene, ma posso chiederti di avere almeno un’estate??”.
Io ho iniziato dei webinar sulla resilienza e sul life design e piano piano dentro di me si faceva sempre più forte la convinzione che dovevo cercare quel portone.
Ho pensato che Dubai potesse esserlo.
Il covid ha messo in luce tutte le difficoltà di Kuwait e i suoi limiti.
Cose che conoscevamo bene, ma che in questo momento sono diventate scogli insormontabili.
L’assenza di protocolli seri, di una leadership chiara, di attenzione verso i bambini e la netta distinzione di trattamento tra cittadini e residenti, hanno fatto sì che prendessimo la decisione per noi più dura.
Dividere la famiglia.
Io e mia figlia saremmo rimasti a Dubai e mio marito sarebbe rientrato a Kuwait.
Abbiamo pensato anche a rientrare in Italia, ma sembrava un po’ in difficoltà con le misure di contenimento, per non parlare della scuola di cui nessuno parlava mai.
Inoltre Dubai resta vicina a Kuwait.
Vi confesso che non ho dormito molto e quando il marito è partito è stato doloroso.
Tanto.
Perché in questo periodo anche una distanza breve, viste tutte le limitazioni, diventa quasi impossibile.
Perchè kuwait era casa.
Una casa da cui sono uscita per fare una vacanza e in cui non sono riuscita a tornare.
Cerco di ripensare a quegli incredibili otto anni. Ma a volte dubito di averli vissuti.
Ho davvero fatto tutto ciò che ricordo?
Cerco di essere clemente, mi lecco le ferite.
Penso ai tanti amici che sono andati via e non ho potuto salutare.
Altre donne hanno fatto come me, hanno lasciato il marito e cercato un posto più sicuro per i propri figli.
Altri sono partiti tutti insieme.
Non abbiamo salutato nessuno.
Anche quelli che avrebbero voluto andare via, ma non hanno avuto scelta.
Nonostante tutti questi sentimenti, continuo ad essere convinta che davvero quella porta chiusa, si trasformerà in un portone.
Perché solo così questa storia può finire.
Mimma non più da Kuwait ma da Dubai
Sarai tu, con il tuo coraggio e la tua forza a trasformarla in un portone. Forza Mimma!
Come mi dispiace! La propria casa tabù! non riesco a pensarci, perché non riesco a crederci.Tanti anni di presenza, fra l’altro molto attiva, e poi?
Qualcosa succederà. Non so cosa, né so cosa esattamente augurarti. Ma tutto avverrà per il meglio, perchè, per quel poco che ti conosco, sei una persona dalle mille idee, iniziative.
Auguri! Auguri!Auguri!
Cara Imma,
Ti seguo da parecchio ormai e conosco, come molti altri expat, quell’angoscia di cui parli. Quel senso di incertezza. Quel sentirsi dentro una bolla.
Vi auguro di ritrovarvi presto. Ovunque sia.
Poi magari venite a fare un giretto qui in Oman!
Il khareef è ancora nell’aria.
Un abbraccio e… Daje !